martedì 31 gennaio 2012

Fantasia un paio di palle!



Sceneggiatore, romanziere, autore teatrale o televisivo, chiunque scriva per professione si trova frequentemente in una situazione spiacevole. Cioè il sentirsi chiedere “che lavoro fai?”.
A quel punto dobbiamo decidere in un decimo di secondo, se la persona che abbiamo di fronte è davvero interessata alla risposta oppure no. Sbagliare, può avere effetti devastanti.

Tra sconosciuti, dopo le vuote ciance sul tempo atmosferico o cose simili, parlare di figli, spettacoli televisivi, sport o lavoro, serve ad allargare le possibilità di conversazione, per capire se la persona che abbiamo di fronte può avere o no qualcosa in comune con noi che possa far sviluppare il rapporto, o ci suggerisca di  chiuderlo.

Finché gli argomenti sono i primi della lista, nessun problema, al massimo si borbotta su quanto saremmo stati più bravi voi rispetto all’arbitro o all’allenatore di turno, o si snocciolano buffi aneddoti sull’ultima gastroenterite del figliolo che vomitava a idrante, piccolo emulo di Linda Blair nell’Esorcista e così via… (e non sottovalutare mai lo sguardo dell’interlocutore dopo una simile battuta cinematografica, può essere un segnale prezioso per l’argomento che stiamo per affrontare).

Già sul discorso televisivo qualche danno lo si può ricevere, se ci si trova di fronte un cerebroleso appassionato solo di Uomini e Donne o di Walker Texas Ranger...
Il guaio grosso capita però con l’argomento lavoro, soprattutto se sei uno sceneggiatore di fumetti.
Perché le possibilità, oggi, di incontrare per strada una persona che legge normalmente per diletto sono scarse, incontrarne una che legga anche i fumetti è una botta di culo che, al confronto, Mister Magoo era Gatto Silvestro.

Perciò, le possibilità di un travaso di bile, sono altissime, perché alla risposta di un vago “scrivo…” segue un “che cosa?”… e a quel punto siamo incastrati!
Perché precipiteremo in un gorgo di luoghi comuni e frasi fatte che nascono dal pregiudizio più bieco radicato e ignorante, e che vanno anche tradotte dal codice colloquial/cortese.

Qualche esempio:
  1. Ma… è proprio il tuo lavoro?” tradotto: “Ma… è davvero un lavoro?"
  2. Perciò, fai i disegnetti!” tradotto: “Che cacchio dici che scrivi, se fai i pupazzi?
  3. Ma che lavoro curioso!” tradotto: “Ma che lavoro del cacchio è?
  4. Caspita, che lavoro incredibile!” tradotto “Avrai qualcuno che ti mantiene!
  5. Fumetti?!” tradotto: “Mi stai prendendo per il culo?

E infine, chiosano tutti, o quasi, con la frase più devastante e ricorrente: “Chissà che fantasia devi avere!

Ora, è ovvio che, nel contesto di un incontro informale che non dovrebbe terminare con schizzi di sangue ed ossa rotte, se chiedere è lecito non è che si è proprio costretti a rispondere... oppure sì?
Ma noi sappiamo che risponderemo, perché continueranno a domandarcelo; questa cosa è sempre successa, e continuerà a succedere, perciò, in qualche modo, ci si deve difendere.

Alfredo Castelli, in passato, usava un sistema infallibile. La menzogna macabra. Alla domanda “che lavoro fai?” rispondeva lapidario: “pompe funebri!” la gente si toccava gli ammennicoli e cambiava immediatamente discorso. Ma questo funzionava negli anni ’70 e ’80, poi la superstizione ha cominciato a non essere più uno scudo sufficiente.


Si potrebbe allora usare il sistema vietcong di Ivan Calcaterra: chiudersi nel proprio studio sotterraneo, protetto con sistemi di difesa degni del miglior Willy Coyote, e ignorare tua moglie che ti chiama perché ci sono ospiti a cena! Se mi volete vivo, dovrete stanarmi!


Io sto usando quest’ultimo da un po’ di tempo a questa parte, e devo dire che è efficacissimo! Non smetterò mai di ringraziare la filosofia difensiva di Ivan!


Eh sì, perché senza la sua saggezza, sarei ancora incastrato nella Sindrome del Mezzo Professore Tra i Marines, cosa che, a volte, ancora mi capita.


Questa sindrome, spinge lo sceneggiatore a cercare di far capire a chi gli sta di fronte in cosa consiste il proprio lavoro, come funziona, con la speranza che nell’interlocutore nasca un interesse, elimini un preconcetto, ragioni su una realtà a lui sconosciuta.
È fatica sprecata, nel 99,9% dei casi non ci crederà o non ci capirà.
Certo, resta uno 0,1%... ma sta a noi decidere se ne vale la pena.

E questo non vale solo per il discorso relativo al fare lo sceneggiatore di fumetti, ma a un qualunque lavoro creativo. Perché una volta pronunciata la frase “chissà che fantasia devi avere!” si è creato un enunciato incontrovertibile e cioè che gli altri, la gente normale, la fantasia non ce la ha!

Ovviamente è un concetto sbagliato, infatti, la fantasia non è una capacità extraterrestre, ma un’abilità umana innata, che hanno tutti!

Da bambini, tutti noi maschietti giocavamo fingendo di essere un Zagor, Superman o Geeg Robot d’acciaio, e le bambine fingendo di essere un Dolceforno Harbert (almeno credo, a quei tempi non mi interessavo di loro, io ero Goldrake!).

Poi si cresce e, cosplayer a parte, la fantasia viene utilizzata per sviluppare la creatività in ambiti diversi. Non usa la fantasia il cuoco che deve inventare una nuova ricetta? Non usa la fantasia un ingegnere che deve risolvere un problema tecnico? Non usa la fantasia un designer che crea una nuova automobile?

Poi i risultati possono essere più o meno validi, ma non è detto che chi ha la fantasia la sappia anche usare al meglio; perché la fantasia da sola non basta, serve anche la tecnica e, per padroneggiare quella, bisogna sudare in qualunque settore!

Insomma, caro sconosciuto, che ci osservi con gli occhi strabuzzati e il labbro pendulo di fronte al connubio "fumetto+lavoro", anche tu, da bambino, per giocare sognavi ad occhi aperti mondi incredibili, macchine volanti e mostri da sconfiggere, poi però noi abbiamo continuato da allenare quel muscolo chiamato fantasia con altri sogni e altre speranze, mentre tu hai preferito usarlo il minimo necessario, o smettere del tutto; forse è stata una scelta, o forse un obbligo comunque non c'è nulla di male… ma non ti preoccupare, se vuoi, basta una buona riabilitazione per fargli riprendere mobilità, seppur di poco; un buon primo passo, appena hai un po’ di tempo libero, potrebbe essere quello di spegnere il televisore, e aprire un buon libro o un buon fumetto.

sabato 28 gennaio 2012

Nathan Never Journey Slideshow Slideshow



Fatevi un giringiro con il "mio" Nathan, clikkando qui:

http://tripwow.tripadvisor.com/tripwow/ta-0407-ec34-2df6?ln
Appena capirò meglio come funziona, proverò ad inserire il video direttamente qui... ma non garantisco!



mercoledì 25 gennaio 2012

Faccio la ruota


Bella intervista al sottoscritto su Lo Spazio Bianco!
Non che sia bella perché è al sottoscritto, ma perché il giornalista Marco Santoro ha fatto un ottimo lavoro!
Si è parlato di Nathan Never, Zagor, Martin Mystére, Anno Domini, Star & McCoy, ma anche di monetine con le braccine, fare il cuoco, house organ, fughe romantiche di editori cornuti, cervelli con partizioni lavorative, e chi più ne ha più ne metta...
Non ho parlato di Krav Maga, del cibo e della birra, degli Iron Maiden e dei Lego... ma magari di quelli parlerò a qualcun altro la prossima volta.
Comunque trovate tutto clickando qui.


martedì 24 gennaio 2012

I pity the fool!


Ho pietà per gli sciocchi, diceva Mr T… e detto da uno che andava in giro con quella pettinatura e quell’abbigliamento sobrio, non poteva non strappare un sorriso ma, diciamocelo seriamente, avreste avuto il coraggio di contraddirlo, faccia a faccia?

In ogni caso, ultimamente ne condivido la filosofia perché, come spesso succede nel web, appena scrivi una cosa e questa viene travisata, non c’è modo di riportarla alla versione originaria.
Perciò ci provo qui con un post, in modo da poterci linkare chiunque risollevi di nuovo la questione.

Parlo nello specifico del numero 250 di Nathan Never, che inizia a germinare proprio a pagina 96 nel numero 248, in edicola in questi giorni.


Allora, il 250 di NN, è stato scritto a quattro zampe dal sottoscritto e dal Grande Capo Antonio Serra, e pennellato dal compare lucido craniato Sergio Giardo, uscirà tra un paio di mesate, e sarà uno starting point per la serie.
 
Attenzione, ho detto starting point, non reboot, per la santa vergine di Czestochowa!
Chiunque abbia detto “beh, che differenza c’è?” è pregato di infilarsi una maglietta con su scritto “picchiami” e andare a suonare alle tre di notte il campanello a casa di Chuck Norris…

Per gli altri il discorso dovrebbe essere chiaro.

Comunque, per i primi…
Il reboot è un riavvio, una ripartenza, un cancellare tutto quello che c’è stato in precedenza nella serie, ripartendo da capo. È quello che fa la Marvel quando pubblica un nuovo numero 1 in cui narra nuovamente le origini dell’Uomo Ragno (excusez-moi, oggi si dice Spiderman!), proprio come avverrà al cinema con il nuovo Amazing Spider-man, dove il film diretto da Marc Webb, con Andrew Garfield, racconterà nuovamente quello che già si era visto nel primo film di Sam Raimi con Tobey Maguire.
Semplice, no?
Mica tanto, perché per lo spettatore e per il lettore medio, ciò che è stato visto una volta è un fatto incontrovertibile!
Un celebre aneddoto lo cita lo sceneggiatore Peter David che (riporto a memoria) durante un viaggio in aereo, chiacchierando con la passeggera sedutagli a fianco, le disse di essere uno sceneggiatore di fumetti; nello specifico, in quel momento, stava scrivendo le storie dell’Incredibile Hulk. La donna rimase perplessa: era impossibile, perché lei aveva visto Hulk morire! Ovviamente si riferiva al film per la TV che chiudeva la serie L’Incredibile Hulk con Lou Ferrigno, in cui il mostro verde, cade da un elicottero in volo e muore (risate fuori campo…).
Per la donna, era inconcepibile che uno stesso personaggio, per di più visto “in carne ed ossa” in tivvù, potesse avere altre incarnazioni. Era morto e basta!
Per questo stesso processo mentale, lettori e spettatori si ritengono traditi quando si sentono dire dagli autori: “Ehi, tutto quello che hai letto o visto in questi ultimi anni lo spazziamo via… non è mai accaduto… insomma, stavamo scherzando!
No, non stavi scherzando prima, mi stai prendendo per il culo adesso!
Alzino la mano i giovincelli che ricordano la serie televisiva Dallas, circa 350 episodi in 13 anni, distribuito in tutto il mondo, con centinaia di milioni di spettatori! Ebbene, uno dei protagonisti, Patrick Duffy, dopo diversi anni di permanenza nella serie, si stancò del personaggio e volle provare altre strade; gli autori non trovarono di meglio che uccidere il personaggio. Duffy però non ebbe fortuna e chiese di rientrare. Beh, una cinquantina di puntate dopo la sua morte: sua moglie si sveglia nel proprio lettone e se lo trova di fianco addormentato, lo abbraccia, lo bacia, ed esordisce con un candido: “Sapessi che paura amore… ho sognato che eri morto!”.
Crollo di ascolti… ma tanto abbiamo centinaia di milioni di spettatori, chi se ne frega!

Ma allora che vantaggio c’è nel fare un reboot?
Il vantaggio c’è quando il pubblico ti segue da tanti, tanti, tanti anni, e intanto è cresciuto, ha cambiato i gusti, e magari le storie dei tuoi personaggi, per il lettore di vecchia data, perdono smalto perché continuano ad avere un target di età più bassa rispetto alla sua.
Ma se il tuo bacino di utenza, grazie a gadget, vestiti, videogiochi, cartoni animati ecc… deve essere ancora quello dei più giovani, allora è a loro che ti devi rivolgere. Ma non si può appassionare il nuovo lettore con una cosa subito troppo complicata, pretendendo che, per capirla, si vada a trovare centinaia di albi passati, spendendoci soldi, leggendo un mucchio di roba per lui vecchia e sorpassata… allora è l’editore che deve andare incontro al nuovo lettore, anche a rischio di perdere quello vecchio, e magari ripescando quello che si era perso un po’ di anni fa, perché non ci capiva più nulla tra spin-off, fill-in, what-if, gang-bang e tricche-tracche.
Ecco il perché si sceglie il reboot, il riavvio. Svecchiare il parco lettori, rinnovarlo.

Tornando a bomba, di nuovo: Nathan Never 250 non sarà un reboot!
Non sarà un reboot!
Non sarà un reboot!
Forza, ripetetelo come un mantra!

Perché NN250 sarà uno strating point.
Cioè?
Cioè un nuovo punto di partenza, un albo ideale per nuovi lettori, che ritroveranno dentro Nathan Never, l’Agenzia Alfa ecc… ma non avranno mai l’impressione di “essersi persi qualcosa”. Tutto ciò che è successo fino ad oggi è davvero successo e resta! Ned Mace ha ucciso Laura Lorring e rapito Ann Never, Andy Avilland ha ucciso Adija, Luke e le gemelle Ross sono morti durante la Guerra con le stazioni orbitanti, la guerra con Marte è appena finita ecc… ma le nuove storie verranno raccontate come se questi eventi non siano mai stati raccontati! Sono accaduti ma non sono stati ancora raccontati! Perciò, dove e se sarà necessario, si racconteranno con un nuovo punto di vista, con una nuova prospettiva, i pezzi degli eventi passati necessari a far sì che tutti capiscano tutto.

Per tornare ad un parallelismo cinematografico, quando sarà necessario faremo la stessa operazione che hanno utilizzato Zemeckis e Spielberg nella trilogia di Ritorno al Futuro.
Quando Martin torna per la seconda volta negli anni Cinquanta, noi vediamo nuovamente degli spezzoni del primo film, ma da angolazioni diverse.

Ecco perché non è un reboot.
Ecco perché, speriamo, il numero 250 e quelli immediatamente successivi, identificati nell’insieme con il nome cospirativo di NiNo (Nuovo Inizio NeverianO) possano essere identificati come l’inizio di una nuova era per la serie, appassionando nella lettura vecchi e nuovi lettori, proprio come ci siamo appassionati noi nel realizzarli!

lunedì 9 gennaio 2012

Bruco Show - DM Il mondo delle nuvole quinta parte

Quinta e ultima!

Grazie a Maurizio e a tutto lo staff!


Bruco Show - DM Il mondo delle nuvole quarta parte

Quarta parte...


Bruco Show - DM Il mondo delle nuvole terza parte

Sbagliavo!
Nel mio ultimo post indicavo la seconda ed ultima parte dell’intervista televisiva al sottoscritto e a Lola Airaghi girata nel mio studio da Marco Bruco Ferri.
Beh, sottostimavo fortemente la mia logorrea... le parti sono ben cinque!

qui sotto la terza parte: