In uno scorso post, sollevavo una questione per la quale, in
realtà, non avevo alcuna risposta...
La questione era relativa al motivo per il
quale i grossi editori si interessano alla pubblicazione di fumetti solo
"di sponda" principalmente tramite ristampe, senza investire direttamente, rischiando il minimo o nulla. Mi chiedevo il perché,
ma la questione rimane aperta (e lo rimarrà anche dopo questo post, per
parecchio ancora, credo).
Stefano Vietti visto da Giancarlo Olivares |
Poi, qualche settimana fa, pranzando con Stefano Vietti,
parliamo di un argomento che inizialmente sembra non c'entrare molto, ma
poi...
L'argomento è la richiesta della presenza di autori, in vari
tipi di manifestazioni sia fumettistiche che non.
Sempre più spesso gli organizzatori di eventi trovano curioso
e interessante inserire la Non Arte in manifestazioni di diverso genere,
così richiedono la presenza di qualche autore. Nasce però un problema di
aspettative… da entrambe le parti.
Mi spiego con un paio di esempi concreti:
Nel 2006 la trasmissione Timbuctu di Raitre condotta da
Ilaria D'Amico, decide che “Le pagine inchiostrate dalla china di Roberto Diso,
Marco Foderà
e Eugenio
Sicomoro accompagneranno le bellissime immagini che gli inviati di Timbuctu
hanno realizzato negli angoli più disparati del globo terrestre.
L’intenzione degli autori di Timbuctu è di rappresentare il
mondo degli orsi polari del Canada, lo sguardo intimidatorio dei cobra del
Marocco e la giocosità dei babbuini del Sudafrica, dal punto di vista degli
artisti di fumetti, per vedere come realtà e finzione possano emozionare i
telespettatori allo stesso modo.”
Insomma, in trasmissione, i disegnatori che fanno?
Disegnano.
Marco Foderà |
Marco Foderà così mi scrive sul risultato di
quella esperienza: “In pratica abbiamo partecipato attivamente alla
trasmissione, con disegni dal vivo, inerenti dei documentari sugli animali... ma senza percepire un euro! Neanche di rimborso spese per il viaggio fino a Roma! Al contrario,il pubblico in sala (semplicemente con la sua presenza passiva e
qualche applauso), ha ricevuto un compenso...
Secondo gli autori la trasmissione, per
noi era un "veicolo pubblicitario"... quindi più utile a noi che a
loro!”
Capito? Le cosiddette clap
(cioè pubblico pagato per stare seduto in silenzio ed applaudire), viene
pagato, l’ospite no!…
Il pubblico, Ilaria D’Amico, gli inviati di Timbuctu vengono
trattati come indefessi lavoratori, Diso Foderà e Sicomoro come giocosi babbuini del Sudafrica!
Madonna in Carràmba che Furtuna! |
Attenzione però, non è abitudine della Rai non pagare gli
ospiti… i giornali parlarono a lungo delle cifre esorbitanti prese (dalle
nostre tasse) per una comparsata di Madonna in Carràmba Che Fortuna!
Stesso dicasi per altri ospiti in altre trasmissioni sulle
reti pubbliche. Da George Clooney in Che Tempo che fa, a Benigni per il
Festival di Sanremo, tutti gli ospiti hanno ricevuto quanto dovuto... ma non si tratta di fumettisti.
Gallieno Ferri in prima serata sulla TV turca |
E se qualcuno dovesse obiettare che Madonna e Clooney sono nomi
grossi perché hanno milioni di fan, partirebbe da un preconcetto sbagliato,
confutabile con i dati di vendita della Sergio Bonelli Editore, da sessant’anni ad oggi.
Un esempio concreto si è avuto di recente con la trasferta del maestro Gallieno Ferri e dello staff di Zagor in Turchia. Ferri veniva
fermato per strada per avere autografi, fare fotografie con i passanti, o anche
solo per ricevere i complimenti da chi lo adorava!
Comunque torniamo a bomba con un
secondo e ultimo esempio.
A Stefano Vietti, qualche anno fa, viene richiesto di tenere
un workshop sul fumetto in uno dei più importanti musei italiani.
Indipendentemente dall'importanza del posto, dato che si tratta di un impegno
di lavoro, s'infila giacca e cravatta e parte. Giunto all'appuntamento, la
responsabile dell'evento strabuzza gli occhi e lo squadra, meravigliata, dalla
testa ai piedi.
Stefano: "Qualcosa non va?"
La donna, imbarazzata, ribatte: "Mi scusi ma... Mi aspettavo un
capellone con le braghe corte e la maglietta di Topolino... E solo ora mi rendo
conto di quanto fosse stupido questo mio preconcetto!"
Il fumetto è roba da bambini? Allora farlo è un gioco d
ragazzi.
Fosse vero, i dipendenti della Chicco dovrebbero lavorare
dall'asilo...
Ma da cosa nasce, e continua ad essere alimentato, questo
preconcetto?
Sulla sua nascita c’è poco da dire. L’idea comune che il
fumetto sia una cosa per bambini è vecchia quanto il fumetto stesso. E l'articolo qui a fianco (leggibile meglio QUI), datato 1948 ne è un esempio!
Ma se le origini di questo preconcetto sono storiche, perché
persiste?
Eppure Art Spiegelman, con il suo Maus nel 1992 ha vinto il premio
Pulitzer; oggi si parla seriamente di fumetti nelle scuole e nelle università;
il fumetto viene difeso a spada tratta anche da personaggi del calibro di
Umberto Eco o Gianni Rodari… ma allora perché ci si aspetta che gli autori
siano capelloni con le braghe corte e la maglietta di Topolino?
Semplice, perché questa è l’immagine che autori, editori (o
pseudo tali), lettori e appassionati, proiettano al di fuori del mondofumetto.
Ricordo bene la vergogna provata quando mia suocera decise
di farmi un'improvvisata durante Cartoomics... Rideva divertita continuando a
ripetersi: "Sembra un carnevale fuori stagione, pieno di gente
strana!"
Insomma, tutto tranne che una seria piazza di lavoro, come
potrebbe essere questa:
Ed ora ricolleghiamoci al discorso iniziale. “Perché gli
editori non investono?"
Alla luce di quanto detto, potrete rispondervi grazie a
questa domanda: "se voi aveste del denaro da investire, scommettereste sull'immagine di questi tre sotto?"
Perché, a chi non conosce nulla di questo settore, è questa
l'immagine che diamo di noi, nel bene o nel male.
Qualcuno potrebbe obiettare: "Sbagli, se così fosse la
tizia di cui sopra, quella del museo importante, non avrebbe chiamato un
fumettista!"
Errore!
Lo ha scelto per un motivo semplice, lo stesso che ha mosso Timbuctu
ad invitare tre autori importanti, per metterli alla stregua di orsi e scimmie:
dato che il fumetto "è una cosa che vale poco" i fumettisti
"valgono poco, o nulla" perciò li si richiede gratis, gli si
promettono pagamenti che mai arriveranno, o li si paga quattro spicci rispetto
a cantanti, attori e artisti “di maggior valore”.
Oggi, come da sempre, l’abito FA il monaco. Se il monaco va in giro con le pezze al culo, non può pretendere di essere trattato da vescovo!
Ho visto personalmente, colleghi ritirare importanti premi
vestiti in tuta da ginnastica masticando chewing gum, altri presentarsi alle
manifestazioni in ciabatte, vestiti da pescatore o addirittura da torero per un
colloquio di lavoro!
Perché “fa personaggio” perché “è strano perché è un
artista” perché “è simpatico, è uno di noi, non se la tira!”. Sarà, ma finché
continueremo a dare di noi questa immagine, possiamo solo aspettarci di peggio.
6 commenti:
Hai perfettamente ragione, ma aggiungo una considerazione: è vero che un disegnatore/sceneggiatore ha milioni di lettori l'anno (se Tex vende 300.000 copie al mese, "milioni" è più che giustificato), ma è anche vero che la politica SBE è sempre stata di NON far risaltare il nome dell'autore.
Infatti tale nome non appare in copertina (eccezion fatta per i Romanzi a fumetti), inoltre non si cerca nemmeno di creare nomi famosi o sfruttare i pochi nomi già famosi, tipo: "il mese prossimo una nuova avventura firmata PINCOPALLINO!!!". Quelle poche storie recenti di Sclavi su Dylan Dog lo dimostrano: giusto nell'editoriale si preannunciava il suo ritorno, sempre sottotono. In America il rilancio di una testata spesso si accompagna un cambio del team creativo con qualche nome noto, così da attirare almeno i suoi fan.
Quindi dall'esterno gli autori Bonelli appaiono tutti uguali, quasi impiegati burocratici interscambiabili!
Assolutamente d'accordo con te, Gianluca!
Però, come è ovvio che sia, io posso dare il mio punto di vista da autore, specificando ciò che è giusto o sbagliato secondo me nel rapporto autore/pubblico.
E' ovvio che se Bonelli, o ancora meglio qualche editore più grande, come Mondadori, decidesse di intraprendere un'azione pubblicitaria pari a quella che c'è stata per Faletti con il suo primo romanzo (prima di allora, chi se lo ricordava più Vito Catozzo?!) in quel caso le cose cambierebbero in meglio per tutti.
Ma quando vedo un mio collega "in braghette" durante un'evento che dà visibilità mi sento ribollire il sangue; e lo stesso mi succede quando mi viene chiesto un incontro gratuito o, peggio, vengono promessi pagamenti che mai arrivano.
In questi casi, dovremmo essere noi a darci da fare.
Insomma, il mulo non tira? Se vuoi andare avanti scendi a spingere!
Se fossi un cosplayer stare lontano da Mirko alle fiere...
Lupo
Ed ecco che, grazie al Lupo, la consecutio temporum anche oggi è andata a farsi friggere!
Ormai da qualche anno i servizi dei TG su Lucca (e da toscano, ho visto tutti quelli degli ultimi 20 anni) mi deprimono terribilmente. Parlano SOLO di persone mascherate e di videogiochi.
In una fiera del FUMETTO.
Se fanno un servizio al salone del libro di Torino, parlano delle novità editoriali e degli ospiti, consigliano volumi, si lanciano in qualche critica e commento. Gli viene insomma riconosciuta una dignità culturale.
I servizi sulle fiere di fumetto invece hanno lo spirito di sagra paesana e carnevale. Il filmato che linki di "Quelli che il calcio" è illuminante.
Ora, io non voglio dare tutta la colpa ai cosplayer che peraltro hanno il diritto di vivere queste fiere come vogliono, però è indubbio che la loro iper-massiccia presenza, con questi costumi che fanno scena e pertanto in TV catalizzano comprensibilmente tutta l'attenzione, contribuisce a involvere la percezione del fumetto da "cultura" a "folklore", per cui lo spettatore medio ha (anzi, rinsalda) l'idea che i fumettofili siano solo bambini poco cresciuti alla ricerca di un perenne carnevale.
Da anni vado dicendo che occorrerebbe separare le fiere dei fumetti da fiere apposta per i cosplayer, o quantomeno separare drasticamente gli spazi specifici all'interno della stessa fiera.
Perché, checché se ne dica, questi gruppi sono già separati nei fatti, dato che si approcciano con scopi differenti.
E i primi a invocare questa separazione dovrebbero essere proprio quelli che col fumetto ci mangiano: editori, autori, standisti.
Perché basta osservare questi ragazzi nelle fiere, e non mi pare si trascinino borse di fumetti acquistati, ma passano il tempo a farsi fotografare. Del resto, anche se volessero, avere su certi costumi ingombranti (per non parlare di spadoni ecc.) rende molto difficile caricarsi ulteriormente di sacchetti.
Quindi da un pusto di vista economico, questi portano al mondo fumetto quasi zero in via diretta, ma tolgono qualcos'altro anche indirettamente, contribuendo a relegare il genere a subcultura, come dicevamo.
Certo, buona cosa per i ristoratori delle città, pessima per chi ci tiene al fumetto, sia per passione sia perché ci campa.
Caro Massimo,
hai centrato in pieno il problema... che un problema senza risoluzione sempre resterà, finché a pensarla così saremo solo in 4 gatti.
Infatti, spesso, chi organizza questi eventi non ha un interesse di rilancio culturale, ma semplicemente li vede come un buon modo per fare un po' di soldi facili, da pescare nelle tasche sia dei visitatori che degli espositori!
Posta un commento